Solidarietà tra committente ed appaltatore per la corresponsione ai lavoratori dei trattamenti retributivi e dei contributi. Negli appalti pubblici non si applica l’art. 29 del D.Lgs. 276/2003. (C. Cass. Lav. n. 15432/2014)

L’art. 29 comma 2 del D.Lgs 276/2003, fin dalla versione originaria, sancisce nel nostro ordinamento il principio della responsabilità solidale fra committente e appaltatore in ordine alla corresponsione ai lavoratori di quest’ultimo dei trattamenti retributivi e dei contributi previdenziali, solidarietà che la Legge Finanziaria 2007, articolo 1, comma 911, ha esteso, ai trattamenti retributivi e previdenziali dovuti ai dipendenti anche di ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori, cosi’ ulteriormente rafforzando la tutela dei lavoratori.

La norma, dettata in tema di impiego privato, è stata estesa dalla giurisprudenza all’ambito pubblico, con la conseguenza che, per lungo tempo, il filone giurisprudenziale prevalente ha considerato la norma sulla solidarietà di cui all’art. 29 sopra citato operativa in ambito di appalti pubblici.

Questo orientamento è stato completamente ribaltato dalla sezione Lavoro della Cassazione con la sentenza n. 15432 del 7 luglio 2014.

La Cassazione (che si pronuncia prima della promulgazione del nuovo codice degli appalti di cui al D.Lgs. 50/2016) rileva infatti che la normativa sugli appalti pubblici contiene una serie di previsioni specifiche volte a garantire l’osservanza della disciplina lavoristica e delle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali da parte dell’impresa esecutrice di contratti pubblici  e del subappaltatore, costituite segnatamente dalla disciplina dell’intervento sostitutivo della stazione appaltante in caso di inadempienza contributiva  e retributiva, nonché la connessa disposizione sul documento unico di regolarità contributiva, contenute negli artt. 4, 5 e 6 del Regolamento di attuazione del codice dei contratti pubblici di cui al D.P.R. 207/2010.

Tali specifici strumenti, se attivati nei tempi e nei modi prescritti, consentono ai lavoratori impiegati negli appalti pubblici di ottenere direttamente dall’amministrazione committente il pagamento delle retribuzioni dovute dal loro datore di lavoro anche in corso d’opera.

Sempre secondo la pronuncia in commento, qualora i lavoratori non utilizzino tali strumenti è inoltre sempre possibile far ricorso, in via residuale, alla tutela di cui all’articolo 1676 del codice civile, secondo cui i lavoratori dipendenti dell’appaltatore che abbiano prestato la loro opera per l’esecuzione dell’opera appaltata possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto loro dovuto fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore, norma che la Cassazione conferma applicabile anche ai contratti pubblici.

L’esistenza di questi specifici mezzi di tutela, dotati, peraltro, di maggior incisività rispetto agli strumenti predisposti dalla Legge Biagi, impedisce l’applicabilità in materia della disciplina della responsabilità solidale tra committente e appaltatore di cui all’articolo 29 del D.Lgs. 276/2003, che resta operativa per i soli rapporti di appalto tra soggetti privati.

I principi enunciati dalla sentenza in parola non perdono attualità a seguito della riforma dei contratti pubblici intervenuta con il D.Lgs. 50/2016: le norme di cui agli articoli 4, 5 e 6 del regolamento di attuazione del vecchio codice sono infatti state trasfuse, con alcuni rafforzamenti, all’interno dell’art. 30 del nuovo codice.

Testo integrale delle sentenza Cass. Civ. Lav. 15432/14

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