Non tutto quello che viene pubblicizzato è sempre realizzabile

Da un po’ di tempo è esploso anche nel nostro paese il fenomeno del Padel. Per quei pochi che ancora non lo sapessero, si tratta di uno sport derivato dal tennis, giocato con racchette più piccole e rigide, su campi più piccoli con sostrato sintetico e delimitati (normalmente) da vetrate.

L’estate è finita e i vari gestori si stanno ovviamente organizzando per poter continuare l’attività anche d’inverno, cercando sostanzialmente soluzioni per coprire il campo.

Il mercato si è subito messo in moto, con le soluzioni più disparate, normalmente assemblabili. Contemporaneamente si è mossa anche la macchina del marketing, che assicura per la tale o la tal altra soluzione, semplicità di montaggio e semplificazione burocratica in quanto l’installazione della copertura prescelta rientrerebbe nel mare magnum dell’edilizia libera.

Ovviamente non tutti i rivenditori sono uguali, quindi non tutti azzardano a tanto e neppure le strutture che il mercato propone sono tra loro identiche.

Ad ogni modo, una domanda è d’obbligo: siamo proprio sicuri che questo tipo di manufatti sia classificabile in edilizia libera?

Da parte mia voglio provare a fare qualche riflessione generale.

Un campo da Padel regolamentare misura 20 metri in lunghezza x 10 in larghezza, con un minimo margine di tolleranza. Si tratta dunque di coprire un’area di 200 mq solo per il campo, oltre l’ulteriore spazio per passaggi, accessi, ecc.

Per consentire agevolmente il gioco la struttura dovrà inoltre garantire una certa altezza: di solito sui sette metri (consideriamo che solo le pareti del campo misurano 3 metri di altezza).

Per coprire il campo dunque abbiamo bisogno di una struttura di 200 mq d’area, alta 7 metri.

Trattandosi di un ingombro paragonabile a quello di una bifamiliare, diciamo che non possiamo considerare la struttura manufatto di piccole dimensioni.

Non a caso le strutture in vendita (ovviamente mi soffermo su quelle di qualità) prevedono forme di ancoraggio al suolo adeguate al volume, secondo le forme più svariate e smart, ma comunque stabili ed hanno caratteristiche progettuali che garantiscono durevolezza e resistenza in sicurezza agli eventi atmosferici.

Sul punto esibiscono anche una serie di certificazioni.

Concettualmente si tratta di strutture molto simili (per concetto) a quelle progettate per i campi da tennis, in cui si ha una copertura di tenda spessa impermeabile tendenzialmente fissa e tendaggi (sempre impermeabili tipo vela) laterali apribili.

Esaminando la normativa, la tesi di chi ritiene che l’opera rientri in edilizia libera fa perno sull’art. 6 co. 1 lett. e-bis) DPR 380/2001, che ammette, appunto in edilizia libera, “le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all’amministrazione comunale”, letto in combinazione con il lemma 56 del glossario unico sulle opere di edilizia libera ai sensi dell’ art. 1, comma 2 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n.222, che ammette nella categoria le tensostrutture e le pressostrutture.

Tutto a posto quindi?

Non proprio.

Innanzitutto bisogna fare i conti con il concetto di “temporaneità”, che trae in inganno. Sul punto infatti la giurisprudenza amministrativa (CdS 2824/2014 e TAR Toscana 696/2018) afferma che ” non possono comunque essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo” qual è quella, seppur ciclica in ragion della stagione, legata all’esercizio in pianta stabile di un centro sportivo.

Inoltre c’è da fare i conti con la normativa regionale via via applicabile.

Ad esempio in Toscana il conflitto si fa palese con l’art. 137, co.1 lett. b), n. 1  della LR 65/2014 che inserisce in edilizia libera:” le installazioni stagionali, destinate ad essere integralmente rimosse entro un termine non superiore a novanta giorni consecutivi, poste a corredo di attività economiche quali esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, attività commerciali, turistico-ricettive, sportive o del tempo libero, costituite da elementi facilmente amovibili e reversibili quali pedane, paratie laterali frangivento, manufatti ornamentali, elementi ombreggianti o altre strutture leggere di copertura, e prive di parti in muratura o di strutture stabilmente ancorate al suolo. Sono da ritenersi prive di rilevanza urbanistico edilizia le installazioni comunque prive di tamponamenti esterni continui e di coperture realizzate con materiali rigidi e durevoli”.

La legislazione toscana, come si vede, pone molto l’accento sulla leggerezza  e la precarietà dell’opera ai fini della sua ammissione in edilizia libera (nel gergo toscano, per essere precisi, si tratterebbe dell’ambito di “irrilevanza edilizia”), il che rende dubitabile che installazioni come quelle in parola possano essere ritenute abbastanza leggere e precarie per rientrarvi.

Porto l’esempio della Toscana per mostrare come si complica la questione scendendo dall’ambito nazionale a quello locale, ma vuole essere solo un esempio: in ogni regione esistono norme che incidono nei modi più disparati sul punto, con regole, che, quindi, a livello locale in certa misura cambiano.

Altro paletto: l’art. 6 del DPR 380/2001 ammette che gli interventi che elenca siano realizzabili in edilizia libera a condizione che siano – cito testualmente l’incipit dell’articolo – “fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”.

La situazione non è quindi così semplice e questo spiega come mai pronunce recenti su casi analoghi, come ad esempio TAR Toscana n. 93/2018, che tratta di una tensostruttura per il tennis, alla fine si muovano ammettendo l’opera all’interno del perimetro delle strutture fisse eventualmente apribili a servizio delle attività sportive, richiamando il disposto dell’art. art. 3 co. 1 lett. e) DPR 380/2001, e qualificandola come “installazione di manufatti anche prefabbricati e di strutture di qualsiasi genere … che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee“, tutt’altro che libera e soggetta a permesso per costruire.

Tirando le fila di questo discorso, il fatto che la copertura per il vostro campo da Padel possa essere installata senza nessuna autorizzazione o formalità, come qualcuno reclamizza, non può essere preso come oro colato ed espressione di un principio generale e sempre valevole, ma deve essere visto come una possibilità astratta dipendente da un gran numero di variabili, da valutare attentamente con il vostro geometra, architetto ed ingegnere (e magari il loro consulente legale in materia), accettando l’eventualità che invece, nel vostro caso, siano necessarie diverse pratiche amministrative.

Il tutto, magari, prima di concludere l’acquisto.

L’ordinanza n. 36 del 14 aprile 2020 del Presidente della Giunta della regione Toscana, avente ad oggetto ulteriori misure per la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID 19, prescrive importanti novità in materia di agricoltura, controllo della fauna selvatica in ambito urbano e gestione delle attività selvicolturali.

La prima importante novità interessa i coltivatori amatoriali, ovverosia quei soggetti che svolgono attività di coltivazione di colture agricole per destinarne i prodotti all’autoconsumo familiare.

Grazie alle disposizioni dell’ordinanza di cui trattasi, oggi, in Toscana, ai coltivatori amatoriali e’ consentito lo spostamento all’interno del proprio comune o verso altri comuni, per svolgere attività agricola amatoriale. Nello specifico lo spostamento e’ consentito, a condizione che siano rispettate tutte le previsioni dettate dai Decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e tutte le norme di sicurezza relative al contenimento del contagio da Covid 19, un’unica volta al giorno e per un massimo di due persone facenti parte dello stesso nucleo familiare,  al fine di svolgere tutte quelle attività necessarie alla tutela della produzione di vegetali, consistenti nelle minime, ma indispensabili, operazioni culturali che la stagione impone oppure per accudire gli animali allevati.

Secondo quanto riportato nella sopracitata ordinanza, tale tipologia di spostamento (effettuato per lo svolgimento di attività indifferibile di coltivazione del fondo agricolo) può essere fatto rientrare in quelle che sono le situazioni di necessità di assoluta urgenza richieste dalla normativa nazionale affinche’ gli spostamenti possano definirsi consentiti. Questo perche’, ci spiega l’ordinanza, il mancato svolgimento, in questo periodo dell’anno (stagione primaverile), di alcune pratiche agricole indifferibili, oltre che a poter compromettere tutta la produzione, con conseguenti ricadute negative per il singolo produttore può comportare un rischio idrogeologico e un rischio elevato di incendi boschivi. Tali eventi solitamente vengono scongiurati dalla corretta gestione dei fondi agricoli che, se abbandonati, rischiano di poter diventare causa concreta di detti pericoli.

Altro tipo di previsioni vengono poi dettate per quanto riguarda il regolare svolgimento delle operazioni di controllo e di contenimento faunistico in ambito urbano.

Il controllo faunistico, così come esplicitato nell’ordinanza, e’ un’attività di carattere pubblico essenziale per la tutela delle colture agricole, soprattutto in questo periodo dell’anno nel quale avvengono le semine primaverili, oltre alla ripresa vegetativa dell’arboricoltura, dei vigneti e dei frutteti, che possono essere danneggiati da un’eccessiva presenza di fauna cosiddetta “problematica”. Tale attività di controllo è ritenuta essenziale anche per tutelare e per limitare il pericolo per la pubblica incolumità e per garantire una maggior sicurezza della circolazione stradale.

Gli interventi di controllo e di contenimento della fauna selvatica dovranno avvenire nel pieno rispetto di quanto sancito dai decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri e da tutte le norme di sicurezza relative al contenimento del contagio Covid 19, e pertanto tramite la cattura o in forma singola. Lo spostamento delle guardie venatorie volontarie incaricate dalla polizia provinciale di effettuare gli interventi di controllo deve essere limitato a quanto previsto nella scheda di intervento di controllo di cui alla procedura approvata con DGR 310/2016 e modificata con DGR 89/2020. Viene prescritto che i capi abbattuti dovranno essere destinati ai centri di lavorazioni abilitati, mentre i capi catturati dovranno essere destinati ai soggetti che abbiano aderito alla manifestazione di interesse di cui al Decreto n. 352/2020

Infine vengono sancite prescrizioni in materia di attività selvicolturali al fine di consentire il completamento delle attività di taglio e di esbosco.

La necessità di porre in essere un intervento in merito alla materia appena richiamata e’ data dal fatto che, come evidenziato nell’ordinanza, i tagli boschivi di utilizzazione o ad ogni altro scopo destinati, sono disciplinati da disposizioni specifiche, che ne regolano perfino le epoche di taglio, stabilendo per i tagli dei cedui, periodi differenziati nel corso dell’anno a secondo dell’ altitudine e delle province. Le attività selvicolturali, in base a quanto stabilito dal dpcm 22 marzo 2020, non erano state comprese tra quelle il cui esercizio era consentito, e pertanto a far data dal quel momento, in tutti quei luoghi in cui la prescrizione stabiliva essere “periodo di taglio” tali attività erano state interrotte, comportando, in primo luogo, un pregiudizio alla stabilità dell’assetto idrogeologico. In secondo luogo, l’interruzione di dette attività, oltre ad aver comportato un attuale pericolo in ordine alla possibilità di sviluppo di incendi boschivi ha comportato anche il pericolo di attacchi fitopatogeni correlati al cumolo di biomassa sul terreno. A seguito dell’entrata in vigore del dpcm 10 aprile 2020 le attività selviculturali, (codice ATECO 02)    nonche’ le attività di cura e manutenzione del paesaggio (codice ATECO 81.3), sono consentite dal 14 aprile, pertanto, la Regione tramite la suddetta ordinanza, ha ritenuto necessario consentire alle imprese di selvicoltura di completare le operazioni di taglio che erano state interrotte a causa delle disposizioni del dpcm 22 marzo 2020, disponendo la proroga del periodo prescritto per il taglio e per l’esbosco, di 15 giorni,al fine di consentire la tutela della stabilità dell’assetto idrogeologico e della prevenzione degli incendi boschivi e degli attacchi fitopatogeni correlati al cumolo di biomassa sul terreno. Inoltre ha previsto la possibilità, per i proprietari e o possessori di boschi, di spostarsi all’interno del proprio comune o verso altri comuni, per lo svolgimento dei tagli liberamente esercitabili, (considerando, anche in tal caso lo spostamento giustificato da situazione di necessità e assoluta urgenza), a condizione che lo spostamento non avvenga per più di una volta al giorno e che sia effettuato al massimo da due componenti dello stesso nucleo familiare e soprattutto che avvenga nel pieno rispetto di quanto previsto nei decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e di tutte le norme di sicurezza relativamente al contenimento del contagio da Covid 19.

Le disposizioni appena descritte hanno validità fino al 3 maggio e, comunque, fino alla vigenza delle misure adottate dal Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’articolo, 1 comma 2, del decreto legge 19/2020.

E’ stata pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Toscana n. 4 del 15 febbraio 2017 la L.R. n. 3/2017 recante “Disposizioni per il recupero del patrimonio edilizio esistente situato nel territorio rurale. Modifiche alla L.R. 65/2014.

Tale normativa è stata emanata sulla base dell’esigenza, nelle more dell’adeguamento della disciplina comunale, di dare impulso al recupero del patrimonio edilizio esistente quale alternativa al consumo di nuovo suolo, nonché di contribuire alla valorizzazione del territorio rurale, con misure volte a incentivare il recupero e la rifunzionalizzazione degli edifici abbandonati, nel rispetto delle disposizioni della legge regionale sul governo del territorio e del Piano di Indirizzo Territoriale con valenza di piano paesaggistico (PIT) della Regione Toscana.

La legge è suddivisa in due capi e consta di sei articoli.

Il Capo I (artt. da 1 a 5) contiene le “Disposizioni per il recupero del patrimonio edilizio abbandonato nel territorio rurale”, mentre il capo II (art. 6) contiene la disposizione modificativa dell’art. 95 L.R.T n. 65/2014 relativa all’integrazione del contenuto dei piani operativi comunali con riferimento alla disciplina del patrimonio edilizio esistente nel territorio rurale.

La normativa in commento riguarda le residenze rurali abbandonate, per tali dovendo intendersi quelle non utilizzate da più di cinque anni a ritroso dalla data di entrata in vigore della legge (art. 1 comma 3, lett. a), nonché gli edifici in condizioni di degrado igienico sanitario (art. 1 comma 3, lett. b), connotati dall’esistenza di una o più delle seguenti caratteristiche:

1) precarie condizioni di staticità dovute alla vetustà o a inadeguate tecniche costruttive (art. 1 comma 3, lett. b, n. 1);

2) diffusa fatiscenza delle strutture e delle finiture degli edifici o inadeguatezza tipologica degli edifici rispetto alle esigenze funzionali anche per carenza o insufficienza degli impianti tecnologici (art. 1 comma 3, lett. b, n. 2);

3) mancanza o insufficienza degli impianti igienico-sanitari (art. 1 comma 3, lett. b, n. 2);

4) ridotte condizioni di abitabilità e di utilizzazione per insalubrità (art. 1 comma 3, lett. b, n. 4).

Sono esclusi dall’applicazione della normativa:

1) le residenze rurali abbandonate per le quali sia stato concesso un condono (1985/1994/2003), oppure per le quali siano state applicate le sanzioni pecuniarie per abuso edilizio e laddove detti condoni o sanzioni abbiano avuto ad oggetto incrementi volumetrici o di superficie utile abitabile (art. 1, comma 4, lett. a);

2) gli edifici assoggettati da strumento urbanistico comunale a restauro e risanamento conservativo (art. 1, comma 4, lett. b);

3) gli edifici ricadenti in area caratterizzata dalla più elevata pericolosità geomorfologica ed idraulica (art. 1, comma 4, lett. c);

4) gli edifici soggetti a vincolo d’interesse storico (art. 1, comma 4, lett. c).

Sugli edifici ricadenti nell’ambito di applicazione della normativa, fermo restando il divieto di cambio di destinazione d’uso agricola per vent’anni se edificati successivamente al 15.4.2007, si consentono, fino all’adeguamento degli strumenti di pianificazione urbanistica comunale agli intenti della legge e in deroga agli esistenti se contenenti norme più restrittive, una serie di interventi di recupero con addizione volumetrica, anche combinati con il cambio di destinazione d’uso agricola verso altre categorie funzionali, purché previste dalla pianificazione urbanistica comunale, da attuarsi una tantum, in coerenza con i caratteri architettonici e decorativi che qualificano l’edificio e gli spazi pertinenziali.

Più in particolare sono ammessi sono i seguenti interventi:

1) adeguamento dell’intero edificio alla normativa sul risparmio energetico o interventi di riparazione locale ai sensi della normativa sismica: aumento volumetrico 10% della superficie utile abitabile (SUA) legittima fino a un massimo di 40 mq (art. 4, comma 1, lett. a);

2) interventi di miglioramento sismico che garantiscano il raggiungimento di un livello minimo di sicurezza non inferiore a 0,65 dell’indice di rischio assumendo come riferimento la direttiva regionale D1.9 di cui alla DGR n.420/2010, oppure, se nella configurazione iniziale l’edificio abbia già un coefficiente inferiore a 0,65, per l’incremento del coefficiente di almeno il 10%: aumento volumetrico del 15% della SUA legittima fino a un massimo di 50 mq (art. 4, comma 1, lett. b);

3) interventi di adeguamento sismico dell’intero edificio secondo la vigente disciplina sismica: aumento volumetrico del 20% della SUA legittima fino a un massimo di 70 mq (art. 4, comma 1, lett. c);

4) esecuzione combinata degli interventi di cui sopra: aumento volumetrico del 25% della SUA legittima fino a un massimo di 90 mq (art. 4, comma 1, lett. d).

In caso di edifici soggetti a restauro e risanamento conservativo, per i quali è preclusa l’attuazione degli interventi di cui sopra, le addizioni previste possono essere realizzate attraverso interventi di ristrutturazione edilizia ricostruttiva degli eventuali volumi secondari siti nelle aree di pertinenza, laddove siano privi di valore (art. 2, comma 5).

La legge dispone inoltre che agli interventi di recupero di cui sopra il comune possa applicare una riduzione minima del 50% degli oneri specifici (art. 2, comma 6).

Dal lato procedimentale, la legge dispone che gli interventi sopra descritti sono soggetti a permesso per costruire (art. 3, comma 1), rilasciabile previa verifica della sussistenza delle condizioni di legge sopra illustrate (art. 3, comma 2).

La richiesta di permesso deve contenere le dichiarazioni necessarie alla verifica dello stato di abbandono (dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà) e della presenza delle condizioni di degrado (relazione tecnica asseverata) (art. 3, comma 3).

Il titolo abilitativo deve inoltre contenere la documentazione attestante i livelli di risparmio energetico o il raggiungimento del livello minimo di sicurezza sismica da conseguire, da attestarsi in sede di certificazione di agibilità (art. 2, comma 2).

Rispetto alle incombenze a carico dei comuni, la legge dispone alcuni oneri di integrazione degli strumenti di pianificazione urbanistica comunale.

In particolare i comuni devono integrare il quadro conoscitivo dei propri strumenti urbanistici sulla presenza di immobili abbandonati alla scadenza di ogni quinquennio dall’adozione del piano operativo comunale (POC).

I comuni devono inoltre integrare la disciplina del proprio territorio rurale con specifiche disposizioni volte al recupero del patrimonio esistente, con norme che dovranno conformarsi ai seguenti criteri: indicazione delle sole destinazioni d’uso non ammesse nell’ambito degli interventi di rifunzionalizzazione degli edifici abbandonati ai soli fini della tutela paesaggistica delle componenti del territorio rurale; definizione di specifica disciplina sugli interventi edilizi ammissibili  in modo da dare la più ampia attuazione dell’art. 79 LRT 65/2014, con particolare riferimento alle addizioni  volumetriche e agli interventi di sostituzione edilizia.

I comuni poi possono prevedere una misura premiale consistente in un’ulteriore riduzione progressiva degli specifici oneri nell’ambito degli interventi di cui alla legge in commento, in misura proporzionale, e fino alla loro eliminazione, sulla base dell’effettivo conseguimento degli obiettivi di recupero definiti dalla disciplina comunale sul patrimonio edilizio esistente.

Infine, onde monitorare gli effetti applicativi della legge in commento, a partire dalla sua entrata in vigore i comuni sono tenuti a trasmettere alla Giunta regionale, con cadenza annuale, una relazione che renda conto delle pratiche edilizie in corso o concluse in attuazione della legge. La Giunta regionale, a sua volta, sulla base dei dati ottenuti dai comuni, dovrà inviare annualmente una relazione informativa alla competente commissione consiliare.

L’ultimo articolo della legge prevede infine una modifica all’art. 95 della LRT 65/2014, con inserimento, tra i contenuti del POC, della “specifica disciplina di cui all’art. 4 della legge regionale 7 febbraio 2017 n. 3”.

L’entrata in vigore, secondo la disciplina ordinaria, è prevista decorsi 15 giorni dalla pubblicazione, quindi il 2 marzo 2017.

Per un primo approfondimento tecnico sull’argomento segnalo il videocorso dell’Ing. Carlo Pagliai a questo link.

E’ stata pubblicata sul Bollettino ufficiale regionale (BURT Parte Prima n. 58 del 30.12.2016) la Legge Regionale Toscana n. 91/2016 recante “Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell’economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente. Proroga del termine per la presentazione dei titoli abilitativi previsti dalla l.r. 24/2009. Modifiche alla l.r. 65/2014 e misure per accelerare la realizzazione di opere e interventi da parte degli enti locali”, la cui entrata in vigore è prevista per il giorno successivo alla pubblicazione (31.12.2016).

L’art. 4 della legge in parola proroga fino al 31 dicembre 2018 il termine per la presentazione delle SCIA o delle richieste di permesso per costruire relative agli interventi previsti dalla L. R. Toscana n. 24/2009, il c.d. “Piano Casa della Toscana”.

Ricordiamo che la L.R. Toscana 24/2009 ammette, in estrema sintesi, l’esecuzione sul patrimonio edilizio esistente, sia residenziale che industriale / artigianale, di interventi straordinari di ampliamento in deroga ai parametri edilizi e urbanistici, come da specchietto che segue:

Su edifici residenziali Su edifici non residenziali
Ampliamento solo 20% della superficie utile lorda fino a un massimo di 70 mq 20% della superficie utile lorda
Ampliamento con demolizione e ricostruzione dell’esistente 35% della superficie utile lorda 35% della superficie utile lorda

Sono esclusi dalle disposizioni di favore gli interventi su edifici abusivi, su edifici compresi nei centri storici, su immobili vincolati e su immobili ricadenti in aree soggette a vincolo di inedificabilità assoluta o che richiedano piani attuativi.

Il medesimo art. 4 della La L.R. 91/2016 aggiunge inoltre un comma 2 bis all’art. 7 della L.R. 24/2009, secondo cui, a decorrere dall’entrata in vigore, i comuni possono prevedere nei propri piani operativi o relative varianti, oppure nelle varianti ai regolamenti urbanistici, ampliamenti volumetrici a titolo di premialità in relazione alla realizzazione di interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente. In tali casi, i comuni, dandone espressamente atto, possono escludere l’applicazione della L.R. 24/2009 nel territorio di competenza.

Link alla L.R. Toscana n. 91/2016

Picture by Zugr

Quello di “territorio rurale” è uno di quei concetti tanto chiari nel senso comune (è campagna quel che non è città) quanto fumosi nel senso giuridico (in cui conta stabilire cosa sia città e cosa campagna).

A livello uniforme, si può azzardare una definizione in negativo: è territorio rurale ciò che è esterno al territorio urbanizzato.

Qui finiscono le generalizzazioni: quel che è interno al territorio urbanizzato e quel che è rurale lo stabiliscono le varie leggi regionali.

Per quel che concerne la regione Toscana, la disciplina del territorio rurale è contenuta nel capo III del titolo IV della legge regionale n. 65/2014 (Norme sul governo del territorio), titolato, appunto, “Disposizioni sul territorio rurale”, in venti articoli (da 64 a 84) recentemente novellati dalla L. R. Toscana n. 43 del 8.7.2016 (Norme per il governo del territorio. Misure di semplificazione e adeguamento alla disciplina statale. Nuove previsioni per il territorio agricolo. Modifiche alla l.r. 65/2014, alla l.r. 5/2010 e alla l.r. 35/2011).

Tali disposizioni sono integrate da quelle del regolamento di attuazione dell’articolo 84 della medesima legge regionale, contenente disposizioni per la qualità del territorio rurale (DPGR Toscana n. 63R del 25 agosto 2016).

La disciplina legale si suddivide in quattro sezioni: una prima sezione denominata “disposizioni generali”, contenente la disciplina della pianificazione rurale, la seconda e la terza contenenti la disciplina delle trasformazioni edilizie, differenziata a seconda che siano effettuate da imprenditori agricoli (sez. II) o da soggetti che non rivestono questa qualità (sez. III) e infine la quarta che disciplina il mutamento di destinazione d’uso agricola degli edifici, in cui è incluso anche l’art. 84 che tratta del contenuto del regolamento di attuazione.

In questo articolo voglio limitarmi a delineare uno schema di base della disciplina, rimandando ogni approfondimento ad eventuali futuri articoli.

Nella citazione delle disposizioni, dove non specifico, mi riferisco agli articoli e ai riferimenti (titoli, capi, sezioni ecc) della legge regionale.

I. Disposizioni generali

Il territorio rurale è definito dall’art. 64.

La definizione è in parte in positivo, in parte in negativo.

In positivo, il territorio rurale viene definito come composto da:

  • le aree agricole e forestali individuate come tali negli strumenti della pianificazione territoriale urbanistica di seguito denominate “aree rurali”;

  • i nuclei ed insediamenti anche sparsi in stretta relazione morfologica, insediativa e funzionale con il contesto rurale, di seguito denominati “nuclei rurali”;

  • le aree ad elevato grado di naturalità;

  • le ulteriori aree che, pur ospitando funzioni non agricole, non costituiscono territorio urbanizzato.

Residualmente il territorio rurale è definito in negativo nel seguente modo:  “E’ comunque considerato territorio rurale tutto ciò che è esterno al territorio urbanizzato come definito dall’articolo 4 (ovvero il territorio su cui insistono “i centri storici, le aree edificate con continuità dei lotti a destinazione residenziale, industriale e artigianale, commerciale, direzionale, di servizio, turistico-ricettiva, le attrezzature e i servizi, i parchi urbani, gli impianti tecnologici, i lotti e gli spazi inedificati interclusi dotati di opere di urbanizzazione primaria” NdR) e come individuato negli atti di governo del territorio comunali in conformità alla presente legge, al PIT, al PTC e al PTCM.

Il medesimo articolo 64 stabilisce i criteri per la pianificazione del territorio rurale, che vengono poi sviluppati nei successivi articoli della prima sezione.

La stessa definizione individua dei contenuti minimi di pianificazione, suddivisibili in due tronconi: aree ed edifici.

Per quanto riguarda le aree, si possono individuare tre categorie: aree rurali propriamente dette (art. 64 co. 1 lett. a), aree ad elevato grado di naturalità (art. 64 co. 1 lett c) e aree con funzioni non agricole (art. 64 co. 1 lett. d), escluse queste ultime di principio dalla disciplina dell’intero capo a meno che non vengano ricomprese specificatamente all’interno del territorio rurale con atto di pianificazione previo parere favorevole della conferenza di copianificazione di cui all’art. 25.

All’interno delle aree rurali propriamente dette si possono individuare gli ambiti di pertinenza dei centri e nuclei storici (art. 64 co. 3 lett. a e art. 66), gli ambiti periurbani (art. 64 co. 3 lett. b e art. 67) e i paesaggi agrari e pastorali di interesse storico (art. 64 co. 3 lett. c).

Per quanto riguarda gli edifici (art. 64 co. 1 lett. b e art. 65), essi si distinguono in nuclei rurali ed edifici sparsi e all’interno dei nuclei rurali si può delineare il sottoinsieme dei centri e nuclei storici (art. 64 co. 3 lett. a e art. 66).

Nella prima sezione vengono inoltre delineati gli obiettivi della pianificazione, ricompresi nella definizione di “qualità del territorio rurale” (art. 68), nonché il limite esterno del potere di pianificazione, che non può dettare prescrizioni in merito alle scelte agronomico-cultuali, anche poliennali, delle aziende (art. 69).

II. Disciplina delle trasformazioni

In tema di trasformazioni edilizie, la normativa impone alcune differenziazioni.

La prima grande differenziazione è data dalla sussistenza della qualità di imprenditore agricolo in capo a chi vuol effettuare l’intervento.

La sezione II delinea la disciplina delle trasformazioni effettuabili dall’imprenditore agricolo, introducendo un altro spartiacque, costituito dalla presenza o meno di un programma aziendale, che, a certe condizioni, può aver anche valore di piano attuativo ai sensi dell’art. 107, che viene definito nei contenuti dall’art. 74 della legge e dagli artt, da 7 a 10 del regolamento di attuazione e la cui realizzazione è garantita da una convenzione o da un atto unilaterale d’obbligo.

In massima sintesi, la presenza di un programma aziendale permette l’effettuazione di interventi maggiormente invasivi (ristrutturazioni urbanistiche, nuove costruzioni anche ad uso abitativo ecc.) rispetto a quelli effettuabili in assenza di esso.

Le tipologie di interventi realizzabili con o senza programma aziendale sono stabilite dagli artt. da 70 a 74 della L.R. e dagli artt. da 1 a 6 del regolamento.

Nella medesima sezione si detta altresì la disciplina dell’asservimento di immobili a destinazione commerciale o industriale allo svolgimento di attività agricola (art. 75 L.R. integrato dall’art. 11 Reg.), e viene disposto un vincolo decennale di inedificazione (salvo qualche eccezione specificatamente indicata) in caso di trasferimento o affitto di fondi al difuori del programma aziendale (art. 76).

La successiva sezione III disciplina le trasformazioni effettuabili da soggetti diversi dagli imprenditori agricoli, ridotte rispetto a quanto effettuabile dalle aziende agricole, specie con programma aziendale.

Si disciplinano dunque le trasformazioni delle aree di pertinenza degli edifici (art. 77), la realizzazione di manufatti per l’attività agricola amatoriale e per il ricovero di animali domestici (art. 78 L.R. e artt. 12 e 13 Reg.), nonché gli interventi sul patrimonio edilizio esistente con destinazione non agricola (art. 79), orientati sostanzialmente alla conservazione e al miglioramento funzionale, nel rispetto della ruralità del contorno.

Si detta inoltre la disciplina degli interventi in aree soggette a vincolo idrogeologico e delle opere antincendi boschivi (art. 80).

III. I mutamenti di destinazione d’uso agricola degli edifici

La sezione IV tratta dei mutamenti della destinazione d’uso agricola degli edifici, inserendo diverse limitazioni.

In via generale sono stabiliti il divieto di mutamento di destinazione d’uso in perpetuo per gli annessi agricoli e per venti anni per gli edifici rurali ad uso abitativo, laddove edificati con dichiarazione inizio lavori successiva al 15.4.2007 (art. 81).

Per gli edifici rurali anche ad uso abitativo edificati con dichiarazione inizio lavori antecedente a tale data è invece possibile mutare la destinazione d’uso, ma alle condizioni di cui all’art. 82 (mutamento della destinazione d’uso agricola mediante programma aziendale) e 83 (interventi sul patrimonio edilizio che comportano il mutamento della destinazione d’uso agricola.

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Norme per il governo del territorio (LR Toscana n. 65/2014)

Regolamento di attuazione dell’articolo 84 della legge regionale 10 novembre 2014 n. 65 (Norme per il governo del territorio) contenente disposizioni per la qualità del territorio rurale (DPGR Toscana n. 63/R/2016)

acqua

Lo scorso 19 agosto è stato pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione Toscana (BURT parte I n. 37) il Decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 61/R del 16 agosto 2016, che detta il “Regolamento di attuazione dell’articolo 11 commi 1 e 2 della legge regionale 28 dicembre 2015, n. 80 (norme in materia di difesa del suolo, tutela delle risorse idriche e tutela della costa e degli abitati costieri) recante disposizioni per l’utilizzo razionale della risorsa idrica e per la disciplina dei procedimenti di rilascio dei titoli concessori e autorizzatori per l’uso di acqua. Modifiche al d.p.g.r. 51/R/2015”.

Il regolamento in parola è stato emesso, come da rubrica, in adempimento al disposto dell’art. 11 della L.R. 80/2015, che stabiliva l’onere per la regione di emanare entro centocinquanta giorni dalla sua entrata in vigore, uno o più regolamenti volti a garantire, in modo omogeneo su tutto il territorio regionale, la riduzione dei consumi da parte degli utilizzatori di acque (comma 1), nonché a delineare la disciplina dei procedimenti per il rilascio dei titoli concessori e autorizzatori per il prelievo di acqua pubblica e la ricerca di acqua (comma 2).

Il nuovo regolamento, suddiviso in 5 titoli, è finalizzato alla tutela della risorsa idrica nell’ottica del contenimento dei consumi, della prevenzione delle crisi idriche e della riduzione dei costi ambientali, e delinea una disciplina dettagliata riguardo l’utilizzo (e i limiti all’utilizzo) della risorsa idrica a fini energetici, agricoli, produttivi e domestici, il risparmio idrico e il riutilizzo, la perforazione e captazione, i relativi procedimenti autorizzatori, le garanzie e le sanzioni.

Il testo è corredato di quattro allegati, che riportano tabelle ed elenchi riguardanti l’uso degli acquedotti, il livello di efficienza potenziale degli impianti di irrigazione, i criteri per la valutazione dei fabbisogni irrigui e i contenuti delle domande, delle comunicazioni e gli allegati tecnici.

Lo schema è il seguente:

  • TITOLO I – DISPOSIZIONI GENERALI
  • TITOLO II – DISPOSIZIONI PER L’UTILIZZO RAZIONALE DELLA RISORSA IDRICA
    • Capo I – Condizioni e criteri per il rilascio di concessioni di derivazione
    • Capo II – Perforazioni ed estrazioni di acque finalizzate al controllo piezometrico e alle estrazioni locali di acque calde a fini geotermici
    • Capo III – Disposizioni per la determinazione dei canoni di derivazione delle acque
    • Capo IV – Disciplina degli usi domestici delle acque sotterranee
    • Capo V – Misure incentivanti il riciclo e il riutilizzo
    • Capo VI – Disposizioni in materia di misurazione dei prelievi e delle restituzioni di acqua pubblica. Modifiche al DPGR 51/R2015 (Regolamento di attuazione dell’articolo 12 bis, comma 4 lettere E) ed F) della legge regionale 11 Dicembre 1998, n. 91 – Norme per la difesa del suolo. Disciplina degli obblighi di misurazione delle portate e dei volumi dei prelievi e delle restituzioni di acqua pubblica e delle modalità di trasmissione dei risultati delle misurazioni).
  • TITOLO III – PROCEDIMENTI PER IL RILASCIO DEI TITOLI CONCESSORI E AUTORIZZATORI RELATIVI AL PRELIEVO DI ACQUA PUBBLICA
    • Capo I – Avvio del procedimento e istruttoria
      • Sezione I – Disposizioni generali
      • Sezione II – Disposizioni in materia di produzione di energia elettrica da fonte idraulica
      • Sezione III – Disposizioni in materia di acque sotterranee
    • Capo II – Conclusione del procedimento ed esecuzione dei lavori
    • Capo III – Garanzie
    • Capo IV – Procedimenti connessi
    • Capo V – Estinzione della concessione
    • Capo VI – Procedure semplificate
    • Capo VII – Disciplina dell’uso plurimo delle acque
  • TITOLO IV – SANZIONI
  • TITOLO V – NORME TRANSITORIE E FINALI
  • ALLEGATO A – USI DEGLI ACQUEDOTTI
  • ALLEGATO B – LIVELLO DI EFFICIENZA POTENZIALE DEGLI IMPIANTI DI IRRIGAZIONE
  • ALLEGATO C – CRITERI PER LA VALUTAZIONE TECNICA DEI FABBISOGNI IRRIGUI
  • ALLEGATO D – CONTENUTI E DELLE DOMANDE, DELLE COMUNICAZIONI E ALLEGATI TECNICI

Di seguito il link al provvedimento in formato pdf

Testo del DPGR Toscana n. 61/R/2016

Aggiornamento dello 11.9.2016: di seguito pubblico l’avviso di rettifica del provvedimento comparso sul BURT Parte Prima n. 39 del 9 settembre 2016 a correzione di alcuni refusi non corretti in sede di pubblicazione sul bollettino.

Avviso di rettifica del 9.9.2016 (BURT Parte Prima n. 39 del 9.9.2016)

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E’ stata pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione Toscana lo scorso 3 agosto ed è entrata in vigore il giorno successivo la L.R. Toscana 1 agosto 2016 n. 47 (Disposizioni in materia di espropriazione per pubblica utilità. Modifiche alla L.R. 30/2005 e alla L.R. 67/2003).

Con questa legge la regione Toscana ha operato un refresh della L.R. 30/2005 (Disposizioni in materia di espropriazione per pubblica utilità), con l’intento di razionalizzarne i contenuti, ottenere un miglior coordinamento con la disciplina nazionale (il D.P.R. 327/2001) eliminando le duplicazioni e, soprattutto, valorizzare il ruolo della regione nell’esercizio diretto delle funzioni di autorità espropriante per la realizzazione delle opere ed interventi di sua competenza, funzioni che la disciplina previgente allocava di default presso soggetti diversi (i comuni in cui le opere dovevano essere realizzate, ovvero presso le province nel caso in cui le opere interessassero più comuni).

La L.R. 47/2016 non ridisciplina la materia nel suo complesso, ma interviene direttamente sulla L.R. 30/2005, che resta in vigore, riscrivendo alcuni articoli e commi, introducendone di nuovi, modificandone altri ed abrogando alcune disposizioni (in una parola, novellandola).

Onde evitare emicranee al lettore, credo sia il caso di procedere seguendo lo schema della L.R. 30/2005, capo per capo (otto in tutto), ed evidenziare le modifiche dove si presentano, anziché commentare la (frammentaria) L.R. 47/2016.

Alla fine dell’articolo inserirò i link alla legge che introduce le modifiche e al testo aggiornato della L.R. 30/2005.

Capo I – Disposizioni generali

La legge non tocca il capo I e l’art. 1 della L.R. 30/2005, pertanto rimangono immutati oggetto e ambito di applicazione.

Capo II – Regole sulla competenza e sulla sottoscrizione degli accordi di cessione

Le modifiche che investono il capo II sono abbastanza consistenti.

Per cominciare, l’art. 1 della L.R. 47/2016 riscrive per intero l’articolo 2 della L.R. 30/2005 riguardante la competenza in materia di espropri.

Secondo la disciplina previgente (art. 2, comma 1) le autorità esproprianti erano, la regione, le province, i comuni, le comunità montane, le città metropolitane, i circondari istituiti ai sensi della legislazione regionale, nonché ogni altro ente titolare del potere di espropriare secondo la normativa vigente.

Di base l’autorità competente alla realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità era competente all’emanazione degli atti relativi alle procedure espropriative che si rendevano necessarie per la sua realizzazione, salvo due eccezioni (previste dagli artt. 3 e 4):

1) le funzioni relative ai procedimenti di espropriazione per la realizzazione di opere pubbliche di competenza della regione erano conferite, in automatico (art. 3) a) al comune nel cui territorio l’opera doveva essere realizzata; b) alla provincia per l’opera che interessava il territorio di più comuni; c) alla provincia nel cui territorio doveva realizzarsi la parte prevalente dell’opera laddove essa interessasse il territorio di più province;

2) per le opere di bonifica realizzate dai consorzi di bonifica l’autorità espropriante era lo stesso consorzio di bonifica, mentre per la realizzazione delle opere di edilizia residenziale pubblica l’autorità espropriante era il comune (art. 4, che non introduceva una vera eccezione, ma semplicemente ampliava disorganicamente il novero delle autorità esproprianti).

Per le espropriazioni finalizzate alla realizzazione di opere private, le autorità esproprianti erano (art. 2 comma 3): a) il comune nel cui territorio l’opera doveva essere realizzata; b) la provincia per l’opera che interessava il territorio di più comuni; c) la provincia nel cui territorio doveva realizzarsi la parte prevalente dell’opera laddove essa interessasse il territorio di più province.

Qualora l’autorità espropriante realizzasse l’opera pubblica o di pubblica utilità tramite affidamento a concessionario di lavori pubblici o a contraente generale, essa poteva delegare, in tutto o in parte, l’esercizio dei propri poteri espropriativi al concessionario o al contraente generale, determinando l’ambito della delega nell’atto di concessione o di affidamento, i cui estremi andavano specificati in ogni atto del procedimento espropriativo.

I soggetti privati delegati potevano avvalersi di società controllate, nonché, per le attività preparatorie, di società di servizi (art. 2 comma 4).

Secondo la nuova disciplina, resta fermo il principio secondo cui l’autorità competente alla realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità è competente all’emanazione degli atti relativi alle procedure espropriative ad essa necessarie (nuovo art. 2 comma 1).

La delega automatica a comuni e province delle funzioni relative alle opere regionali è stata sostituita da una delega facoltativa a) al comune nel cui territorio l’opera deve realizzarsi (esattamente come prima); b) alla provincia o alla città metropolitana di Firenze per l’opera che interessi il territorio di più comuni (poco cambia); c) ai consorzi di bonifica (novità).

A mio parere, essendo scomparso ogni riferimento alla delega in caso di opera che interessi più province e vista la valorizzazione del ruolo della regione operata a livello generale dalla legge do riforma, tali opere non sono più delegabili e dovrebbero essere assunte direttamente dalla regione.

In più è disciplinato il procedimento per il conferimento della delega: essa deve essere conferita con deliberazione della Giunta regionale, previa acquisizione dell’assenso del soggetto delegato, per singoli interventi oppure per una pluralità di interventi, a seguito di specifica previsione negli atti di programmazione o nei relativi atti di attuazione (nuovo art. 3, riscritto dall’art. 2 della legge in commento).

L’elenco delle autorità esproprianti viene razionalizzato e inserito in due commi dell’art.2, mentre l’art. 4 viene abrogato (art. 10 L. 47/2016).

Ai sensi del comma 2 dell’art. 2 costituiscono autorità espropriante la regione, le province, la città metropolitana di Firenze, i comuni (scompaiono i riferimenti alle comunità montane e ai circondari), nonché ogni altro ente titolare del potere di espropriare secondo la normativa vigente.

In aggiunta, ai sensi del successivo comma 3, costituiscono autorità espropriante anche:

a) i consorzi di bonifica di cui alla legge regionale 27 dicembre 2012, n. 79 (il riferimento viene aggiornato alla nuova disciplina), per le opere da loro realizzate ai sensi dell’articolo 23 della l.r. 79/2012 (specificazione utile oggi, sperando che il riferimento venga aggiornato in caso di futuri avvicendamenti normativi);

b) l’autorità idrica toscana di cui all’articolo 3 della legge regionale 28 dicembre 2011, n. 69, per la realizzazione delle opere e degli interventi previsti nel piano di ambito (soggetto nuovo).

Il riferimento esplicito ai comuni per la realizzazione di opere di edilizia residenziale pubblica scompare, ma resta comunque operante in forza dell’attribuzione generale al comune della qualità di autorità espropriante.

Per le espropriazioni finalizzate alla realizzazione di opere private, poco cambia: rimane il comune per le opere da eseguirsi nel suo territorio, viene inserito il riferimento alla città metropolitana di Firenze oltre alla provincia per le opere che interessano il territorio di più comuni e viene introdotta la regione (senza alcuna specificazione, ma, direi, per le opere che interessano più province).

E’ stato eliminato il riferimento alla possibilità di delega a concessionario di lavori pubblici o a contraente generale, già comunque previsto dalla normativa nazionale (art. 6 comma 8 D.P.R. 327/2001).

Nulla muta circa gli accordi di cessione volontaria (art. 5).

Capo III – Ufficio per le espropriazioni

Modifiche di rilievo sono intervenute anche rispetto alle disposizioni contenute nel capo III.

In particolare, viene modificato l’art. 6 riguardante l’ufficio per le espropriazioni e le forme di collaborazione tra enti e introdotto l’art. 6 bis riguardante gli elenchi degli atti che dichiarano la pubblica utilità.

L’obbligo di individuare, l’ufficio espropriazioni a cui riservare tutte le funzioni attribuite all’autorità espropriante, previsto in origine genericamente per gli enti pubblici competenti all’emanazione di atti di esproprio nell’ambito della propria autonomia organizzativa, è ora espressamente esteso alla regione (art. 6 comma 1, modificato dall’art. 3 comma 1 della L.R. 47/2016 ), che può provvedervi (art. 6 comma 1 bis introdotto dall’art. 3 comma 2 dalla L.R. 47/2016) anche mediante la costituzione di uffici per le espropriazioni presso le strutture di massima dimensione.

Resta la facoltà per gli enti locali di assolvere l’obbligo mediante la costituzione di un ufficio comune per le espropriazioni o mediante altre forme associative previste dalla legge (art. 6 comma 2).

Resta la possibilità per gli enti locali e gli altri enti pubblici di avvalersi, per lo svolgimento delle procedure espropriative di loro competenza, dell’ufficio per le espropriazioni costituito presso altri enti locali, previa intesa, accordo o convenzione, possibilità oggi estesa espressamente anche alla regione (art. 6 comma 3).

Scompare il comma 4 dell’art. 6, che prevedeva, da parte della regione, l’incentivazione della gestione associata delle funzioni in materia di espropriazione.

L’art. 4 L.R. 47/2016 introduce l’art. 6 bis, rubricato “Elenchi degli atti che dichiarano la pubblica utilità”.

Ai sensi di questo nuovo articolo l’ufficio regionale per le espropriazioni cura la tenuta e l’aggiornamento degli elenchi degli atti da cui deriva la dichiarazione di pubblica utilità o con cui è disposta l’espropriazione, distinti in relazione agli enti che li hanno adottati, e riceve le comunicazioni relative alle procedure espropriative di cui all’articolo 14, comma 3, del d.p.r. 327/2001.

Le modalità e gli adempimenti relativi alla tenuta degli elenchi di cui sopra sono definiti con deliberazione della Giunta regionale e, nel caso in cui la regine abbia costituito uffici per le espropriazioni presso le strutture di massima dimensione (ai sensi dell’art. 6 comma 1 bis), con la medesima delibera è individuato l’ufficio regionale competente (art. 6 bis comma 2).

Capo IV – Disposizioni sul procedimento espropriativo

Quanto alle disposizioni sul procedimento di esproprio (capo IV), la legge 47/2016 elimina gli art. 7 (Atti di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio), 8 (Comunicazione dell’avviso di procedimento per l’apposizione di vincoli espropriativi) e 9 (Atti che comportano la dichiarazione di pubblica utilità) della L.R. 30/2005 (art. 10 L.R. 47/2016).

All’articolo 10 la possibilità di emanare ed eseguire il decreto di esproprio in base alla determinazione urgente dell’indennità di espropriazione, originariamente riservata ai casi previsti dall’articolo 22, comma 2, del D.P.R. 327/2001 e alla realizzazione di opere di infrastrutture a rete previste dai piani o programmi regionali, viene estesa alla realizzazione di opere di interesse strategico regionale di cui alla legge regionale 35/2011 (art. 5 L.R. 47/2016).

Stessa estensione viene operata per l’emanazione e l’esecuzione del decreto che determina in via provvisoria l’indennità di espropriazione e che dispone l’occupazione anticipata dei beni immobili necessari.

E’ stato poi introdotto l’art. 10 bis rubricato “Adozione del decreto di esproprio da parte di autorità espropriante diversa dalla Regione” a disciplina dei casi in cui la regione esercita il potere di delega di cui all’art. 3. (art. 6 L.R. 47/2016).

In questi casi, l’autorità espropriante può adottare il decreto di esproprio o l’atto di cessione volontaria solo previa acquisizione del nullaosta in ordine alla coerenza con le finalità del progetto da parte della struttura regionale competente in relazione alla natura dell’opera.

Per il rilascio del nullaosta, l’autorità espropriante deve trasmettere alla struttura regionale competente in relazione alla natura dell’opera gli atti corredati dal tipo di frazionamento e al piano particellare.

L’autorità espropriante provvede poi a trascrizione e voltura (gli adempimenti di cui all’articolo 11) e trasmette alla regione le relative note.

L’art. 11 non ha subito modifiche.

Capo V – Spese, comunicazioni e notifiche relative al procedimento di esproprio

Le disposizioni del capo V (artt. 12 e 13) riguardanti spese, comunicazioni e notifiche relative al procedimento di esproprio non sono state toccate.

Capo VI – Edificabilità di fatto e misure compensative

Al contrario, il capo VI (articoli 14 e 15) sull’edificabilità di fatto e le misure compensative per i casi di cessione volontaria è stato spazzato via (art. 10 L.R. 47/2016).

Svanisce così la definizione di “edificabilità di fatto” contenuta nell’art. 14, secondo cui dovevano considerarsi edificabili di fatto le aree in relazione alle quali esistesse, sul piano tecnico ed economico, la concreta possibilità di allacciamento alle reti stradali residenziali, idriche, fognarie e della distribuzione elettrica.

Svanisce altresì ogni riferimento alla possibilità (prevista dall’art. 15) di attribuire agli espropriati a titolo d’indennizzo, in caso di cessione volontaria, la facoltà di edificare su altre aree di proprietà comunale o di terzi.

Capo VII – Commissione provinciale espropri

Quanto alla commissione provinciale espropri (capo VII), ne viene integrata la composizione con due soggetti designati dalla regione e scelti tra i suoi dipendenti: un dirigente esperto in relazione alla natura dell’opera ed alla sua localizzazione (art. 16 comma 2 lett. d bis introdotto dall’art. 7 L.R. 47/2016) e un funzionario esperto in materia urbanistica ed edilizia (art. 16 comma 2 lett. d bis introdotto dall’art. 7 L.R. 47/2016).

Nulla muta rispetto a costituzione, durata e funzionamento.

Capo VIII – Disposizioni finali e transitorie

Viene inserita una norma transitoria per i procedimenti avviati prima dell’entrata in vigore della L.R. 47/2016 (l’art. 20 bis, introdotto con l’art. 8 L.R. 47/2016), secondo cui le modifiche operate con tale legge regionale, non si applicano ai procedimenti espropriativi avviati con le comunicazioni di cui all’articolo 16 del D.P.R. 327/2001, fatto salvo quanto diversamente disposto negli atti di cui all’articolo 10, commi 7 e 9, e all’articolo 11 bis, comma 3, lettera a), ultimo periodo, e lettera b), della L.R. 22/2015.

Fuori novella, l’art. 9 della L.R. 47/2016 prevede infine una particolare norma transitoria per l’aggiornamento delle commissioni espropri di cui all’articolo 16 della L.R. 30/2005, che devono essere integrate con i componenti di cui all’articolo 16, lettere d bis) e d ter), entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della L.R. 47/2016, pena la sospensione dell’attività delle commissioni non integrate nel termine. I componenti integrati cessano dalla loro carica alla scadenza della commissione.

L.R. Toscana 47/2016

L.R. Toscana 30/2005 (testo coordinato)