La dichiarazione di inefficacia della CILA edilizia
Atto utile, ma equivoco
Introduzione
Da tempo, in seno agli uffici edilizia privata dei comuni, è invalso l’uso di notificare al cittadino che abbia inoltrato una CILA1 di dubbia regolarità un atto denominato generalmente “dichiarazione di inefficacia”, con cui, appunto, si dichiara inefficace il documento ricevuto e si preannuncia l’esercizio di poteri repressivi, spesso non meglio identificati. A volte l’amministrazione si spinge anche ad indicare nel “provvedimento” la base giuridica di adozione, citando, a volte l’art. 7 L. 241/1990 (rubricato “Comunicazione di avvio del procedimento”), ma più spesso l’art. 10 bis del medesimo testo (rubricato questo invece “Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza”).
Da giurista cultore della materia, di fronte al formarsi di queste prassi, non posso nascondere una certa perplessità.
A parte la base giuridica invocata (su cui verremo dopo), al dilà della denominazione che l’estensore ha scelto di dare allo specifico provvedimento, è giuridicamente corretto, alla luce dell’attuale meccanica normativa, parlare di inefficacia riguardo al deposito di una CILA?
E se non lo è, l’atto che l’amministrazione pretende di notificarci quando riscontra che una CILA per qualche motivo non va bene, allora, amministrativamente parlando, che cos’è?
Con questo scritto voglio puntare alcune riflessioni, anche alla luce del panorama giurisprudenziale in cui si tende a glissare il problema (e a salvare l’atto dell’amministrazione, che, ad essere onesti, qualche utilità pratica, comunque, ce l’ha).
Efficacia
Inizio le mie riflessioni dalla parola “efficacia”.
Secondo il Devoto Oli “efficacia” nel senso comune è “la capacità di produrre l’effetto e i risultati voluti o sperati”. Riportato all’ambito del diritto il concetto esprime “l’attitudine di un fatto, di un atto, o di un negozio giuridico a produrre gli effetti collegati al suo compimento”.
In ambito giuridico il concetto può essere altrimenti raffinato come “la capacità di un atto o fatto di avere i cosiddetti effetti giuridici, di modificare direttamente il ‘mondo giuridico’ (per es. un atto o fatto può far nascere o modificare o estinguere un’obbligazione)2.
Se si parla dunque di efficacia in rapporto alla CILA, acronimo di comunicazione di inizio lavori asseverata, dovrà concludersi che tale efficacia consiste nell’attitudine di questa a produrre gli effetti collegati al suo compimento.
Ma quali sono questi effetti?
CILA
La CILA, così come disegnata oggi dal nostro ordinamento, è una mera comunicazione con cui il privato dichiara all’amministrazione di iniziare dei lavori e ne descrive le qualità e l’entità.
Essa ha valore puramente informativo e serve, come espresso in modo cristallino dal Consiglio di Stato nel suo parere n. 1784/20163, a rendere edotta l’amministrazione dell’esistenza dell’attività, in modo che essa “possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio”, mantenendo “sempre integro il potere di vigilanza contro gli abusi delineato in via generale all’art. 27 del DPR n. 380/2001”.
Se la CILA ha carattere puramente informativo e la sua efficacia consiste dunque nell’attitudine a portare a conoscenza dell’amministrazione l’esecuzione dei lavori, diventa particolarmente complicato disquisire su una sua eventuale inefficacia, almeno nei termini in cui sembrano intenderla le amministrazioni e, in una certa misura, i giudici amministrativi.
Inefficacia, inesistenza, invalidità o inutilità?
Se è vero quanto si è appuntato sopra, di vera e propria inefficacia della CILA dovrebbe parlarsi solo nei casi in cui essa sia incompleta (chiameremo questo caso Caso 1 NdR), non permetta cioè all’amministrazione di dedurre dalla comunicazione le caratteristiche dell’intervento e ritenersi messa in condizione di poter esercitare i poteri di vigilanza contro gli abusi di cui all’art. 27 TU Edilizia4.
E laddove l’incompletezza raggiunga livelli limite, tanto da non potersi individuare, dal tenore del piego comunicato, neppure le caratteristiche essenziali dell’intervento che si vuole eseguire, o dell’immobile su cui va eseguito, si potrebbe utilizzare la categoria dell’inesistenza, tanto cara alla giurisprudenza amministrativa d’antan (Caso 2).
Le declaratorie d’inefficacia o d’inesistenza, nel caso sopra visto, attengono al regime delle opere la cui esecuzione è effettivamente per legge soggetta a CILA e precedono logicamente l’avvio del procedimento per l’irrogazione delle sanzioni pecuniarie previste per l’esecuzione di lavori in assenza di essa ed hanno un senso in quanto possono, se tempestivamente adottate, prevenire l’inizio delle opere in violazione evitando al cittadino da una parte di incorrere in sanzione ed evitando all’amministrazione dall’altra, gli oneri relativi all’avvio di un procedimento sanzionatorio (ricordiamo che l’attività degli uffici deve informarsi al principio del buon andamento e non a quello di far cassa a tutti i costi, come invece più si va avanti più pare).
A ben vedere, di inefficacia si può parlare in tutti quei casi in cui la CILA è fatta male, ma non è usata a sproposito.
E quando la CILA invece sia completa e perfetta, ma sia usata a sproposito?
Si distinguono due ulteriori casi.
In un primo caso (Caso 3) l’intervento rientra nelle fattispecie di edilizia libera ai sensi dell’art. 6 DPR 380/2001. Qui l’attività edilizia è del tutto libera (con il Pagliai ci divertiamo a definirla edilizia libera – libera) e la CILA si presenta non inefficace, ma inutile.
Un’ultima ipotesi (Caso 4) prevede che la Cila venga utilizzata per comunicare lavori che avrebbero dovuto essere autorizzati da permesso per costruire oppure anticipati da SCIA. Anche qui, a rigore non si discute di efficacia o inefficacia – la CILA è perfettamente efficace secondo il criterio che abbiamo indicato sopra – ma di liceità o illiceità.
In altre parole l’atto comunicativo del privato è certamente idoneo a rendere edotta l’amministrazione di cosa si sta facendo e la mette sicuramente in condizione di esercitare i propri poteri di vigilanza, tuttavia l’intervento che si vuol porre in essere dovrebbe seguire un altro iter amministrativo che non è stato rispettato, quindi l’uso della CILA è illegittimo, mancando il quid pluris determinato dal diverso artefatto giuridico prescritto.
In questo caso è improprio utilizzare il termine “inefficacia”: sarebbe più appropriato invece riferirsi all’illiceità del comportamento.
Quindi, non contestazione d’inefficacia, ma di “uso illecito della CILA” in rapporto all’intervento prefigurato.
Le amministrazioni tendono invece a fare di tutta l’erba un fascio e denominano sempre “dichiarazione di inefficacia” questi provvedimenti, che invece, come abbiamo visto, hanno natura e logica diverse.
Le diverse basi giuridiche della “comunicazione di inefficacia” indicate dalle amministrazioni nei provvedimenti
Le ambiguità e i fraintesi rimangono anche rispetto alla base giuridica invocata dall’amministrazione per giustificare il “provvedimento”.
I richiami più gettonati sono quelli all’art. 10 bis della L. 241/1990, seguiti, quasi a pari merito da quelli che puntano all’art. 7 della medesima legge.
Ricostruito il quadro logico come sopra, emergono abbastanza chiare le difficoltà ad inquadrare la “comunicazione d’inefficacia della CILA” nell’ambito delle comunicazioni di cui all’art. 10 bis L. 241/1990, rubricato “comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza”, che presuppone l’esistenza di un procedimento da avviarsi ad istanza di parte e l’esistenza di motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza proposta, chiaramente incompatibile con lo schema della CILA, in cui non vi è alcuna istanza da accogliere, ma una semplice comunicazione con cui il privato dichiara di voler iniziare lavori già ammessi e liberalizzati dalla legge.
Altra ipotesi gettonata è il richiamo dell’art. 7 L 241/1990 “Comunicazione di avvio di procedimento”.
Anche qui sono numerose le perplessità.
Quale sarebbe il procedimento da avviare? Quello sanzionatorio o repressivo?
Per far ordine, chiameremo “procedimento sanzionatorio” quello previsto per la mancata presentazione di CILA in occasione dell’esecuzione degli interventi ad essa soggetti prevista dall’art. 6 bis ultimo comma DPR 380/2001 e “procedimento repressivo” quello previsto per gli abusi edilizi dagli artt. 30 e ss. DPR 380/2001, nel caso in cui le opere eseguite a seguito della CILA sarebbero state soggette a Permesso per costruire o SCIA.
Innanzitutto devo rilevare che perché si possa parlare di avvio di procedimento sanzionatorio o repressivo si dovrà presupporre l’esistenza di un intervento da sanzionare o reprimere e tale presupposto viene meno ogniqualvolta alla CILA malamente trasmessa non sia seguita l’effettiva esecuzione dei lavori.
Ove i lavori siano invece iniziati, l’amministrazione avvia senz’altro le procedure pertinenti, che, se aventi carattere repressivo, secondo giurisprudenza costante, tra l’altro, non richiedono alcuna comunicazione di avvio del procedimento.
Atto superfluo?
Insomma, la “dichiarazione di inefficacia” della CILA (continuiamo a chiamarla così per semplicità, pur se, abbiamo visto, la dizione è largamente impropria) par proprio essere un atto in larga misura ridondante e il più delle volte utilizzato impropriamente.
Non convince, per le ragioni indicate sopra, neppure il TAR Lazio quando afferma (nella sentenza n. 11155/2019) che la dichiarazione d’inefficacia della CILA consiste in un “semplice rilievo” in vista della sospensione dei lavori e dell’adozione dei conseguenti provvedimenti repressivi nell’esercizio del potere di vigilanza contro gli abusi delineato in via generale dall’art. 27 DPR 380/2001.
Un conto è il semplice rilievo, la comunicazione senza formalità, un altro è l’emissione di un provvedimento con intento dichiarativo, da cui l’amministrazione pretende di far discendere l’esercizio del potere repressivo.
L’idea generale è che nell’ottica comune si tenda ad accostare la CILA alla SCIA e perciò si tenda ad applicare abiti mentali, peraltro non sempre corretti o aggiornati, tessuti sulle forme della seconda alla prima.
Vi è inoltre la tendenza, quasi feticistica e in parte incolpevole dell’amministrazione italiana, a “produrre” atti, maltollerando qualsiasi semplificazione e liberalizzazione, quasi ogni attività debba essere in qualche modo vagliata e autorizzata o proibita da un ufficio, con annesso pezzo di carta.
Aspetti pratici virtuosi…
Qualsiasi cosa si pensi della prassi della “dichiarazione di inefficacia della CILA”, essa ha il pregio – beninteso, se emanata nell’immediatezza del deposito della comunicazione e non mesi dopo o, come nel caso della citata sentenza del TAR Lazio, da Natale a Pasqua- ha il pregio, dicevo, eminentemente pratico, di sollevare tempestivamente le criticità dell’intervento che si vuol porre in essere e permettere di porvi rimedio, anche evitando l’inizio effettivo delle opere, il che sicuramente giova, sia all’amministrazione sia al cittadino.
… e viziosi
Sull’altro piatto della bilancia, deve considerarsi un aspetto negativo: la dichiarazione di inefficacia della CILA assomiglia troppo al provvedimento di blocco e conformativo che viene emesso nell’ambito della SCIA e porta a mio parere ad incrementare la confusione che esiste tra i due istituti.
Non a caso, addirittura molte difese, tra cui quella del ricorrente in Tar Lazio 11155/2019 che ho più volte richiamato, tendono a confondere il regime giuridico della CILA con quello della SCIA e a pretendere l’applicazione di istituti e rimedi validi certamente per la seconda, ma non per la prima.
Questa conseguenza può assumere connotati particolarmente pericolosi quando arrivi ad indurre a ritenere erroneamente operativi per la CILA i momenti di stabilizzazione che denotano la disciplina della SCIA, in particolar modo i termini per l’adozione dei provvedimento di verifica e i termini finali per il blocco tardivo (tante volte chiamato impropriamente “annullamento d’ufficio”).
O quando porti a considerare la CILA un “titolo abilitativo”, con tutte le garanzie legate a questa categoria.
È bene sottolineare che l’eventuale emanazione della “dichiarazione di inefficacia” da parte del Comune nulla toglie e nulla aggiunge all’intervento eseguito, che potrà essere verificato in ogni tempo e in ogni tempo sanzionato, senza che per esso decorra alcun “termine ragionevole”, non essendo l’autotutela neppure ipotizzabile.
Questo senza neppure prendere in considerazione il tema della conformità del costruito con il dichiarato, che abbiamo dato per scontata, e, in mancanza della quale, si apre un altro universo, che forse affronterò in un’altra occasione.
Note
1 Per i profani, si tratta della Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata di cui all’art. 6 bis DPR 380/2001.
2 AA.VV., La nuova Enciclopedia del diritto e dell’economia, Garzanti, Milano, 1987, lemma “efficacia”.
3 Cons. St., Sez. Spec. n. 1784 del 4 agosto 2016 “Schema di decreto legislativo in materia di individuazione dei procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio attività(SCIA), silenzio assenso e comunicazione di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell’art. 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124”, §5.5.2, fruibile su https://www.reteambiente.it/normativa/26872/
4 Di seguito riportiamo il testo dell’art. 27 D.Lgs. 380/2001: “Vigilanza sull’attività urbanistico edilizia – 1. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente, la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi. 2. Il dirigente o il responsabile, quando accerti l’inizio o l’esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi. Qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il dirigente provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa. Per le opere abusivamente realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi degli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, o su beni di interesse archeologico, nonché per le opere abusivamente realizzate su immobili soggetti a vincolo o di inedificabilità assoluta in applicazione delle disposizioni del titolo II del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il Soprintendente, su richiesta della regione, del comune o delle altre autorità preposte alla tutela, ovvero decorso il termine di 180 giorni dall’accertamento dell’illecito, procede alla demolizione, anche avvalendosi delle modalità operative di cui ai commi 55 e 56 dell’articolo 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662. 3. Ferma rimanendo l’ipotesi prevista dal precedente comma 2, qualora sia constatata, dai competenti uffici comunali d’ufficio o su denuncia dei cittadini, l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità di cui al comma 1, il dirigente o il responsabile dell’ufficio, ordina l’immediata sospensione dei lavori, che ha effetto fino all’adozione dei provvedimenti definitivi di cui ai successivi articoli, da adottare e notificare entro quarantacinque giorni dall’ordine di sospensione dei lavori. Entro i successivi quindici giorni dalla notifica il dirigente o il responsabile dell’ufficio, su ordinanza del sindaco, può procedere al sequestro del cantiere. 4. Gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, ove nei luoghi in cui vengono realizzate le opere non sia esibito il permesso di costruire, ovvero non sia apposto il prescritto cartello, ovvero in tutti gli altri casi di presunta violazione urbanistico-edilizia, ne danno immediata comunicazione all’autorità giudiziaria, al competente organo regionale e al dirigente del competente ufficio comunale, il quale verifica entro trenta giorni la regolarità delle opere e dispone gli atti conseguenti.”